Centinaia di frontalieri – fra i quali molti valtellinesi e valchiavennaschi – hanno manifestato davanti alla sede della Regione Lombardia a Como per protestare contro i nuovi accordi fiscali fra Italia e Svizzera e l’introduzione della tassa della salute. Presenti sia i sindacati italiani, sia i sindacati elvetici. Unanime la loro voce contro la tassa sulla salute, contro un provvedimento «iniquo, ingiustificato e intempestivo e, verosimilmente, illegittimo». «Iniquo - denunciano i sindacati - perché basato sul presupposto sbagliato: i frontalieri sono contribuenti indiretti nazionali attraverso i ristorni fiscali pari al 40% di quanto versato alla fonte in Svizzera. Ingiustificato perché in contraddizione con quanto lo stesso ministero della Salute – continuano i sindacati - ha sempre sostenuto quale ragione stessa dell’erogazione del servizio sanitario ai frontalieri fiscali. Intempestivo e di dubbia legittimità, perché in aperto contrasto con i contenuti del neonato accordo fiscale che sancisce il diritto esclusivo della Svizzera a tassare i redditi di quei frontalieri che sono entrati nel mercato del lavoro elvetico negli ultimi anni».
Manifestare è un diritto – commenta l’assessore regionale agli enti locali, il valtellinese Massimo Sertori – mi sembra però opportuno ribadire a tutti i cittadini, soprattutto a quanti lavorano in italia, per quale motivo i frontalieri e i sindacati stanno protestando. La famigerata tassa della salute è un contributo di 120 euro mensili chiesto a chi sceglie di usufruire del sistema sanitario italiano a fronte di uno stipendio di quattromila euro nette. Serve a coprire le spese sanitarie per chi lavora oltre confine e per tutti i suoi familiari. I proventi non finiranno nel calderone della sanità nazionale ma saranno destinati a potenziare il servizio negli ospedali di confine, per alzare gli stipendi di medici ed infermieri e continuare a garantire un servizio essenziale. Sarebbe bello che i sindacati – aggiunge – contribuissero in maniera costruttiva al dibattito discutendo invece la possibilità di utilizzare questi proventi per nuove misure di welfare destinati a quanti vivono e lavorano nelle zone di confine. Se qualcuno si sente leso nei propri diritti – conclude Sertori – è giusto che manifesti, ma mi sembra altrettanto giusto che tutti sappiano di che cosa e soprattutto di quanto stiamo parlando”
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