Cronaca / Sondrio e cintura
Giovedì 21 Novembre 2013
Violenza sulle donne
«Non siamo un’isola felice»
C’era lo psichiatra e criminologo Claudio Marcassoli alla sala “Don Chiari” lunedì sera, per il secondo incontro del ciclo di conferenze “Genitori e figli. Istruzioni per l’uso”
«È necessario sfatare subito un mito rispetto agli episodi di violenza in famiglia, e a quelli che coinvolgono le donne in particolare: la Valtellina, in questo, non è un’isola felice».
C’era lo psichiatra e criminologo Claudio Marcassoli alla sala “Don Chiari” lunedì sera, per il secondo incontro (organizzato dal Circolo Acli di Sondrio insieme all’Opera salesiana e le sue molte associazioni) del ciclo di conferenze “Genitori e figli. Istruzioni per l’uso” incentrato sul problema della violenza in famiglia.
E con lo psichiatra c’era Beatrice Barbetta, presidente dell’associazione “Tua e la altre” di Ardenno, dal 2008 impegnata nel supporto attivo alle donne che hanno subito violenza e ai loro figli, con la “Casa delle rose” che fino a oggi ha affrontato i casi e ospitato più di 200 vittime di violenza di genere: «E la cosa che più ci ha spiazzato è stato il fatto che la grande maggioranza di queste è proprio valtellinese».
Un problema quello della violenza sulle donne – la quasi totalità dei casi di maltrattamenti in famiglia, insieme a quelli ai danni dei minori – che se in Italia fa registrare numeri impressionanti (2.200 donne uccise dal 2000 al 2012, 81 femminicidi nei primi sei mesi del 2013, una violenza ogni 12 secondi) non risparmia la provincia di Sondrio: «Dati da ritoccare sensibilmente per eccesso – sottolinea Marcassoli; – la maggior parte dei casi, difatti, rimane senza denuncia: la vergogna, il timore del giudizio altrui e dei propri famigliari, il desiderio di dimenticare sono alla base di un’omertà che fa stimare come l’82% delle violenze sessuali non venga denunciato».
Numeri che negli ultimi anni stanno segnando però un’inversione di tendenza riscontrabile nella sempre maggiore propensione a rivolgersi ad autorità e centri di assistenza dopo un’aggressione: «Alcune leggi volte a snellire il percorso che va dalla denuncia alla sentenza, ma anche una maggiore consapevolezza del proprio “essere vittime” e quindi bisognose di soccorso delle donne stanno mutando la mentalità. Necessario, però, ora lavorare sulla prevenzione, sensibilizzando i giovani attraverso una corretta educazione alla sessualità ed alla affettività: significa creare futuri genitori non violenti».
Ma se la prevenzione va intesa anche come attenzione e supporto alle famiglie già in difficoltà o ad alto rischio, pure in termini di cura e aiuto a donne vittime di violenza limitare recidive e conseguenze, l’invito di Marcassoli è di non sottostare al giogo fisico e psicologico cui la violenza familiare tiene legate le proprie vittime: «L’abituale ricorso alla forza per risolvere le questioni non è mai tollerabile. L’ultima cosa da fare è mostrarsi deboli: se hai un fidanzato manesco, mollalo subito; se l’uomo che ti picchia è tuo marito, non aver paura di lasciarlo per non far soffrire i figli: meglio crescere con un genitore solo che con entrambi in un clima di violenza».
Concetto ribadito da Beatrice Barbetta: «È importante le vittime non cadano nella trappola della colpevolizzazione o del timore del giudizio altrui, e che tornino ad acquisire un’autonomia anche economica dai loro persecutori. Per questo alla Casa delle rose diamo alloggio a loro e ai loro figli, ma pure la possibilità di tornare alle occupazioni che restituiscano loro la capacità di badare a se stesse». Nessun identikit di vittima e carnefice: si tratta di donne e uomini psicologicamente “normali”, e provenienti da ogni livello sociale, culturale e economico. Persone che si incontrano tutti i giorni; e che devono poter tornare alla vita di tutti i giorni, libere da paure e violenza.
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