Cronaca / Lecco città
Venerdì 06 Marzo 2015
Lecco. Tessile ancora in crisi
«Grandi marchi avidi, banche bloccate»
Arcioni (Confindustria) analizza il settore «Momento drammatico che dura da cinque anni, reso più difficile dalla riduzione dei consumi»
Imprenditori tessili grandi e piccoli parlano la stessa lingua nel definire una crisi che per Confartigianato è “drammatica” e in cui essere «qualitativamente perfetti, flessibili, veloci, abili nel cercare nuovi mercati – dice il coordinatore del distretto tessile e vicepresidente di Confindustria Sergio Arcioni – è l’unico modo per darsi un futuro».
In un settore che a Lecco coinvolge 165 imprese e, fino a marzo 2014, 2400 lavoratori, tutto ciò può non bastare visto che a remare contro oltre al calo dei consumi ci sono la guerra orientale sui prezzi unita all’ «avidità di grandi marchi che applicano ricarichi mostruosi vendendo ad esempio a 500 euro scarpe fabbricate in Oriente a 30 euro» afferma Arcioni.
E a pesare sono anche, spiega il rappresentante dei tessili di Confartigianato Giovanni Colombo, «l’indecenza delle nostre banche che tagliano i finanziamenti anche ad aziende in crescita, e quella del nostro sistema camerale, più Ice e Promos, che per me è il peggior sistema al mondo, che non supporta le imprese e le coinvolge in mille riunioni e preventivi che ci fanno solo perdere tempo e soldi in consulenze».
Colombo è titolare di Eurocomfort di Casatenovo, con 8 dipendenti più due manager esterni. Produce tessuti termoelastici, fa ricerca, investe all’estero e fabbrica col proprio marchio prodotti ortopedici finiti. All’estero, dove ha l’80% del fatturato, è presente in Europa, Messico e Brasile dove ha appena aperto una sede commerciale a San Paolo.
Colombo mette in fila le cause della crisi: «primo – dice – diversi anni fa abbiamo svenduto il nostro know-how segnando l’inizio della fine in investimenti su giovani, tecnologia, capacità e fantasia. Secondo – aggiunge – i piccoli faticano a investire per affermare propri marchi. Terzo, i grossi clienti da noi si fanno fare le prove tessuto ma mandano gli ordini in Oriente. Il risultato – aggiunge – è un impoverimento che ora non permette più il necessario rinnovo dei macchinari».
«A breve – dice Arcioni – con la chiusura della stagione fieristica vedremo come andrà con gli ordini. Tuttavia, posto che alla base viviamo un drastico calo dei consumi, osservo che nella logica di quel termine abominevole di globalizzazione si è creduto che aprire i mercati a tutti sarebbe stato bene per l’economia mondiale. Invece ha fatto bene alla Cina, che cresce a 2 cifre, mentre da 5 anni noi siamo con Pil negativo. Non biasimo – aggiunge – chi fa affari in Oriente, ma che perlomeno si sappia da dove provengono le varie componenti di un prodotto».
« Come Confindustria siamo vicini alle imprese con seminari che aiutino l’area commerciale, col business point che ha dato un bell’impulso sull’estero, col sostegno al credito. Ma resta il limite vero della mancanza di soldi nelle tasche delle persone».
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