Cronaca / Lecco città
Mercoledì 27 Maggio 2015
Lecco. «L’Europa ci snobba
I nostri parlamentari non fanno lobby»
Le norme di Bruxelles sul “Made in” .Sergio Arcioni: «Il settore subisce la concorrenza asiatica Nella Ue prevalgono gli interessi delle singole nazioni»
Viste le premesse, gli imprenditori del tessile abbigliamento temono possa concludersi con un nulla di fatto per il settore il consiglio Ue sulla competitività che si apre oggi a Bruxelles per stabilire il perimetro di applicazione del “Made in” e arrivare per fine mese a produrre un regolamento immediatamente applicabile.
Fino a inizio maggio, e dopo una battaglia decennale sull’etichettatura d’origine aperta proprio dall’Italia nel 2005, erano tre i settori di applicazione indicati dalla Commissione europea: il tessile/abbigliamento delle Pmi unbranded, le calzature e la ceramica.
Ma il 12 maggio la Lettonia, presidente di turno, ha depositato richiesta per limitare l’applicazione solo a calzature e parte delle ceramiche; la Commissione dunque ci ha ripensato prendendo atto che non si potevano obbligare all’etichettatura solo le Pmi e non i grandi marchi e ha rilanciato le indicazioni solo sugli altri due settori, così il braccio di ferro continua e non si sa come andrà a finire il Consiglio competitività. Per ora sembra continuino a vincere i Paesi del Nord Europa, grandi importatori e distributori di prodotti cinesi, contro il Sud e in particolare l’Italia che hanno invece le loro manifatture da difendere.
«Sono molto deluso – dice il coordinatore del distretto tessile lecchese e imprenditore del tessile abbigliamento Sergio Arcioni – in quanto non mi pare ovvio che in quella che pretende di essere un’unione europea, in realtà fasulla, ci siano nazioni non interessate all’etichettatura del ’Made in’ in quanto prive di manifatture di settore, con l’aggravante che siccome l’etichettatura d’origine è sconveniente per chi importa prodotti dall’Estremo Oriente a prezzi vantaggiosi costoro votano contro. È un modo abominevole di pensare, facilitato anche dalla presenza poco proattiva, per usare termini gentili, dei parlamentari italiani a Bruxelles dove il 60% di loro ci va una volta al mese e l’altro 40% non brilla in partecipazione».
Ora, nei giorni delle decisioni, il vicepresidente del Parlamento ed ex commissario per l’Industria Antonio Tajani ha invitato l’Italia a sfruttare l’appuntamento del 28 maggio per far approvare il regolamento sul “Made in”, ma si fatica a capire quali margini di manovra possano ancora esserci.
«Per portare a casa certi risultati – dice Arcioni – non puoi improvvisare in 24 ore un lavoro di lobby che non è mai stato fatto in dieci anni. E la lobby non la fai in aula ma parlando anche in situazioni conviviali coi colleghi parlamentari stranieri a cui nel momento del bisogno si può dare una mano su settori che stanno a cuore ai loro Paesi. Ma diciamo che per tutto ciò non puoi portarti dietro l’interprete, devi almeno sapere l’inglese, altra grossa mancanza dei nostri parlamentari italiani in Europa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA