Cronaca / Lecco città
Giovedì 24 Aprile 2014
Lecco: alla Lucchini spento l’altoforno
«Arlenico ormai alla disperazione»
L’altoforno Lucchini di Piombino è stato spento. E anche se non è ancora detta l’ultima parola, è molto probabile che un importante capitolo della siderurgia italiana sia davvero giunto al capolinea
L’altoforno Lucchini di Piombino è stato spento. E anche se non è ancora detta l’ultima parola, perché l’impianto è stato “caricato in bianco” (quindi all’occorrenza potrebbe essere riacceso), è molto probabile che un importante capitolo della siderurgia italiana sia davvero giunto al capolinea.
A Lecco, dove c’è il più importante laminatoio del gruppo Lucchini, l’Arlenico Caleotto, a dirla tutta non c’è stata alcuna manifestazione di protesta - come invece sta succedendo fra i 2.500 operai di Piombino -, neanche mezz’ora di sciopero, forse perché è davvero difficile incrociare le braccia quando il lavoro non c’è e i 90 dipendenti sono a casa da cinque mesi. Già, proprio così, in mezzo anno i lavoratori dell’Arlenico hanno lavorato si e no una ventina di giorni, e l’ultima volta che hanno messo piede in azienda risale a febbraio. Questo perché l’altoforno (che rifornisce il laminatoio di billette), che adesso è stato definitivamente spento, da settembre ha iniziato a lavorare sotto tono, senza fornire adeguatamente l’impianto lecchese che, al più, veniva rifornito da altre acciaierie del Nord Italia.
«Siamo passati dal nervosismo alla disperazione fino all’abbandono più totale - dice Mauro Castelli della Fiom Cgil - A livello nazionale la situazione di Lecco non viene particolarmente contemplata e adesso rischiamo di pagare più di altri la decisione di mantenere unite le sedi produttive». Infatti la Lucchini si trova in amministrazione straordinaria dal dicembre 2012 e il commissario Piero Nardi sta vagliando una serie di proposte per vendere la Lucchini.
Esclusa la possibilità di mantenere in vita l’intero ciclo produttivo e quindi l’area a caldo, adesso restano in campo circa otto proposte da parte di imprenditori italiani e stranieri. Per Lecco si era fatta avanti una cordata, la Duferco-Feralpi, che avrebbe preso il laminatoio per integrarlo con le proprie attività. Ma Nardi in questi giorni ha cancellato anche questa speranza: «Il commissario ha parlato chiaro, la priorità sarà data alle imprese che hanno intenzione di mantenere l’impianto siderurgico, installando un innovativo forno elettrico ma dimezzando la forza lavoro di Piombino, insieme ai laminatoi. Quindi, di spezzatini, per il momento, non se ne parla».
Ma la cessione a un imprenditore, intenzionato a rilanciare Piombino, potrebbe mettere in secondo piano Lecco. Inoltre i tempi per la realizzazione di un simile progetto sono davvero molto lunghi, almeno un paio di anni per rimettere la società sui giusti binari. Ecco perché i 90 lavoratori della Arlenico Lucchini assistono impotenti a questa estenuante trattativa che rischia di trascinarli a fondo. In cuor loro, molti, vorrebbero separarsi da quel cappello Lucchini che li mantiene uniti alla disgraziata sorte di Piombino.
Già da mesi i lavoratori di Lecco sanno di aver perso gran parte del loro mercato di riferimento, cioè le trafilerie del territorio e del Nord Italia. E se i trafilieri si sono sempre detti pronti a tornare dal loro fornitore di fiducia, l’Arlenico appunto, più passa il tempo e più questa prospettiva si affievolisce. A questo si aggiunga il fatto che, se l’impianto di Lecco non verrà riacceso a pieno regime a brevissimo, per i dipendenti ci sarà un grosso problema economico a settembre. Infatti il contratto di solidarietà copre al massimo il 60% delle ore di lavoro in un anno, ma fino a ora i 90 lavoratori dell’Arlenico sono stati in azienda per meno del 20% del loro monte orario. Chi pagherà la differenza ai dipendenti? I sindacati lecchesi stanno cercando di contattare i manager dell’amministrazione straordinaria per sapere se esistono soluzioni tampone per salvare il laminatoio di Lecco e garantire un po’ di lavoro ai dipendenti, ma al momento da Piombino nessuna nuova.
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