Cronaca / Lecco città
Lunedì 04 Maggio 2015
«La Grande guerra e le sue vittime
Canto un’epopea dimenticata»
Giovedì a teatro il cantautore Massimo Bubola per Le Primavere di Lecco organizzate da “La Provincia”. Un emozionante viaggio tra musica e parole. «Ho scritto anche una canzone su Caporetto una vicenda che è stata a lungo un tabù» ISCRIVITI QUI
«Se avete fame guardate lontano / se avete sete la tazza alla mano / sarà la neve che vi
disseterà”... Massimo Bubola ricorda quanto aveva 5 anni e cantava questa canzone seduto
sul sellino della bicicletta di suo padre, mentre guardavano l’Adige in traghetto per raggiungere Villa Bartolomea, dove il genitore al pomeriggio insegnava a leggere e scrivere ai contadini analfabeti.
Oggi il cantautore veronese ha varcato la soglia dei sessant’anni, ma quella canzone - “Monte Canino” - la canta ancora ed è uno dei brani della (e sulla) Grande guerra che proporrà giovedì 7 alle 20.45 al Teatro della Società, nell’ambito delle Primavere di Lecco promosse da “La Provincia” (ingresso libero e gratuito, ultimi posti disponibili cliccando qui) . Non sarà un semplice concerto, quello di Bubola accompagnato dalla Eccher band, bensì un percorso tra storia e antropologia attraverso i testi e le musiche di canzoni che in parte ha recuperato dalla tradizione e in parte ha composto rifacendosi a quella. Cavalli di battaglia (per una volta la definizione non appare fuori luogo) che Bubola ha racconto il due album tematici, “Quel lungo treno” del 2005 e “Il testamento del capitano” del 2014.
Il 24 maggio saranno trascorsi 100 anni esatti dall’entrata in guerra dell’Italia. Intanto ne sono passati 10 dall’uscita di “Quel lungo treno” che lei dedicò a due prozii caduti in quel conflitto, Ottorino e Antonio... Una storia di famiglia, di tutte le famiglie italiane, che però molti hanno rimosso....
Credo che ricordare, fare da promemoria sociale sia la funzione civile della musica. L’Italia è un paese più votato all’oblio che al ricordo. Al di là di iniziative singole, la percezione è che, tolte le zone di guerra o in cui c’è stata una trasmissione dovuta per lo più agli Alpini, il Paese non si è mai interessato collettivamente alla tragedia del ’15-18. Eppure rappresenta un momento eccezionale di identità e scoperta. La prova si ebbe nel 1921, quando il feretro del milite ignoto, scelto tra 11 bare anonime ad Aquileia dalla madre di un caduto, fu seguito da tutta l’Italia, di stazione in stazione, passando per l’Umbria fino a Roma.
Anche suo nonno, che la Grande guerra l’aveva combattuta ma non ne parlava mai, si commuoveva cantando quelle canzoni...
Canzoni che hanno un potere evocativo fortissimo, bellissime anche a detta di musicologi e letterati. Fanno parte di una letteratura popolare mai considerata a sufficienza in un paese un po’ malato di accademismo. Sono una grande testimonianza, soprattutto per milioni di ragazzi talmente scioccati da quello che avevano visto al fronte da non riuscire neanche a parlarne. A differenza della seconda, di cui anche mio padre raccontava molto, della Prima non si è conservata una grande memoria orale.
Tra i brani che ha scritto lei colpisce “Da Caporetto al Piave”, perché la disfatta del 24 ottobre 1917 era stata rimossa anche dalla musica popolare...
Caporetto fu un tabù per l’Italia, soprattutto sotto il regime fascista, che usò molta enfasi attorno alla Grande guerra e non voleva che si ricordasse un episodio così cupo, doloroso e tragico. Perciò ho scritto una canzone, fondata sui valori e il linguaggio dell’epoca, che non era mai stata scritta. Ho riempito una lacuna storica su un episodio molto doloroso per tutto il Friuli, che subì un anno abbondante di occupazione durissima. Non c’erano più galline, non c’era più niente, la gente era prostrata da una fame spaventosa. Alla fine scoppiò una malattia terribile, la famigerata Spagnola, che falcidiò tantissima gente: ai 630mila morti soldati, ne va aggiunto un milione e mezzo tra prigionieri e civili.
“Cani senza padrone aspettano il nemico / festeggiano il nemico...”. Così si conclude il suo ricordo musicale di Caporetto... Ma il popolo che idea aveva del nemico?
I soldati semplici erano contadini, per lo più cattolici, addestrati all’odio per il nemico, ma gli alti comandi non ce l’hanno fatta a inculcarglielo davvero. Le canzoni della Grane guerra non sono aggressive. La solidarietà e l’equilibrio prevalgono sempre. I soldati erano molto più equilibrati dei loro comandanti. In Friuli molti parlavano due lingue, anche nel Veronese, nel Vicentino e nel Trentino: non c’era nessun odio e si ricordano tanti episodi di grande solidarietà. Dalle rispettive trincee distanti 30-40 metri si scambiavano le foto delle famiglie, delle morose, le grappe...Gli alti comandi - lo vediamo nei film sulla Grande guerra come “Orizzonti di gloria” di Kubrick e “Uomini contro” di Rosi - punivano violentemente queste azioni di solidarietà. Non potevano accettarle.
“Il testamento del Capitano” è un manifesto dei valori dell’epoca: del suo corpo, il capitano, chiede che si facciano cinque pezzi da dare, nell’ordine, alla patria, al battaglione, alla mamma, alla sua bella e alle montagne ,“che lo fioriscano di rose e fior...”.
Queste canzoni fanno riflettere , perché nascondono un percorso antropologico, che comincia molto prima della Grande guerra: “Il testamento del capitano” fu scritta nel 1527 per la morte del marchese di Saluzzo colpito dalle truppe borboniche, in un tempo in cui vi era il mito delle reliquie,importate da città mercantili, come Venezia, che poi le davano alle chiese. Anche “La tradotta” era preesistente alla Grande guerra, come canzone di lavoro, così come “Tapum” era nata come canto di miniera. Ogni canzone implica un percorso che conduce alle radici del nostro folk e della nostra identità, ma la maggior parte delle persone, e anche dei media, lo ignora.
E gli studenti che lei ha incontrato nell’ultimo anno in diverse scuole e università?
Con l’eccezione di qualche zona pedemontana o montana, non sanno quasi niente. Sono stato anche allo Iulm, ma non ho trovato consapevolezza, nemmeno sulla musica folk. A parte qualche fenomeno, come la Taranta, non c’è una coscienza che invece è presente in altri paesi, come l’Irlanda o gli Stati Uniti. Bisognerebbe fare un percorso diverso anche nelle scuole.Ricordiamoci che queste canzoni hanno cementato le nostre comunità di emigranti all’estero. Papa Francesco, che viene da una famiglia di contadini piemontesi emigrati in Argentina, ha detto che il “Testamento del capitano” è la sua canzone preferita.
In Irlanda le canzoni della Grande guerra le apprezzavano già quando lei le cantava negli anni ’70...
In Irlanda erano molto apprezzate,è vero, perché hanno melodie talmente belle che se le avessero conosciute personaggi come Mozart o Brahms, molto attenti alla musica popolare, le avrebbero ripescate nelle loro opere. Sono cose scritte da contadini, spesso anche analfabeti, ma che hanno un valore enorme.
Anche morale...
Già, l’impegno, la solidarietà, il sacrificio... Valori che ormai si sono quasi istinti. Oggi chi si sacrifica più, don dico per gli altri, ma anche solo per i propri figli?
Pietro Berra
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