Un rapporto secolare, da coppia inossidabile al passare del tempo: è a doppio senso quello che lega il salumificio Rigamonti che ha 100 anni di vita a Montagna in Valtellina, piccola comunità che sfiora i 3.000 abitanti e che si trova alle porte di Sondrio.
Un rapporto che però è entrato in crisi, non senza la preoccupazione - «profonda e alta» - degli amministratori del circondario, di cui si fa portavoce il sindaco del paese.
«Il dispiacere è grande. Una doccia fredda, confesso, che ha colto impreparati anche i miei colleghi sindaci» garantisce Barbara Baldini, primo cittadino che non manca di esprimere la sua vicinanza alle famiglie che si trovano loro malgrado coinvolte nel piano di ristrutturazione presentato dai vertici dell’azienda: 104 lavoratori in mobilità, di cui 11 nello stabilimento di Mazzo, 60 a Montagna in Valtellina, 12 a Poggiridenti. «83 famiglie a rischio: la situazione è gravissima».
Una decisione, quella presa dall’azienda, di fronte alla quale i lavoratori non intendono arrendersi; tant’è che sono state proclamate otto ore di sciopero nella giornata di venerdì prossimo 15 novembre.
È stata inviata anche una lettera al presidente della Provincia Massimo Sertori. I sindacati chiedono a Palazzo Muzio un impegno analogo, se non maggiore, a quello messo in campo in altre vicende simili, a cominciare da quella della Riello. Con l’augurio, si legge nella missiva, di riuscire a «risolvere l’ennesima crisi aziendale nel miglior modo possibile, per il bene dei lavoratori, delle loro famiglie, ma anche e soprattutto del nostro tessuto industriale, che giorno dopo giorno si sgretola inesorabilmente dietro una crisi che sembra non arrestarsi».
Secondo lei, sindaco, cosa non ha funzionato? Quali potrebbero essere state le cause che hanno portato a questa situazione di crisi?
«È difficilmente comprensibile il cambio di passo dell’azienda. Credo, anzi sono convinta, che questa crisi non sia imputabile né alla difficile e delicata congiuntura che ha travolto il nostro Paese, né tanto meno alle maestranze. Anzi, all’interno di questa azienda storica, operano maestranze con forti competenze nel campo della lavorazione e della produzione della bresaola – tiene a puntualizzare il primo cittadino -. Lavoratori non prestati alla causa, ma veri professionisti, persone di straordinarie capacità, a cui vanno tutta la mia solidarietà e vicinanza. E se la Rigamonti si è imposta all’attenzione del panorama imprenditoriale ad alti livelli è indubbiamente grazie ai suoi prodotti, alla sua filosofia perpetuata negli anni, al suo modo di fare impresa, a chi l’ha diretta negli anni, ma anche grazie alle maestranze».
Quali potrebbero essere le ripercussioni, al di là di quelle occupazionali, sul paese di cui lei è alla guida?
«Montagna si è sempre identificata con la Rigamonti e viceversa: c’è sempre stata una forte vicinanza dell’azienda al territorio. Bisogna darne atto. Una vicinanza espressa in molteplici forme. Questa crisi ora cambia radicalmente il modo di vivere il paese con ripercussioni però su tutta la Valle perché, non dimentichiamoci, che è una delle aziende più vecchie e grandi del nostro territorio. Una situazione grave per tutta la Valtellina, con forte ricadute anche a livello nazionale e internazionale per un prodotto come la bresaola».
In crisi c’è un’azienda che è strettamente legata da una parte alla tradizione e, dall’altra, alla filiera agroalimentare che rappresenta uno dei punti di forza della produttività economica del nostro territorio. Di fronte a questa richiesta di mobilità inevitabilmente anche il comparto alimentare entra nell’elenco dei settori in crisi. C’è a suo modo di vedere una “ricetta” in grado di scongiurare il peggio?
«Fare tutto il possibile e mettere in atto ogni strategia per garantire questi posti di lavoro, in attesa di capire che tipo di scenari si aprono ai vertici dell’azienda. Le istituzioni sono chiamate a fare tutto quello che possono. Da parte mia, come dei miei colleghi sindaci, c’è la massima disponibilità a incontrare i vertici, a sedersi a un tavolo. Ma credo sia anche necessario fare una riflessione: chiedersi se una realtà multinazionale come questa, come quella della gruppo Jbs, possa davvero sposarsi con un’eccellenza come la Rigamonti e la bresaola che produce. Non avanzo questo interrogativo con fare polemico: semplicemente ritengo che su un territorio come il nostro dove si va ripetendo che i prodotti tipici vanno tutelati, salvaguardati e promossi, questa riflessione sia quanto meno doverosa».
Era il 1913 quando il salumificio Rigamonti ha aperto i battenti. A distanza di cent’anni si rischia di essere arrivati al capolinea, Le sembra possibile?
«L’idea di una festa così sfolgorante come quella alla quale ho partecipato con piacere lo scorso giugno per i 100 anni di vita mi è sembrato il giusto modo per celebrare quello che la Rigamonti ha fatto in un secolo. Mi chiedo, però, cosa possa essere drasticamente cambiato nel giro di poco più di quattro mesi, visto che proprio in occasione dei festeggiamenti si parlò di nuovi investimenti e di miglioramenti in azienda, mentre ora ci si trova con la prospettiva di 104 lavoratori in mobilità».
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