Perché il 18 aprile 1948 la gente d’Italia era chiamata a un’elezione spartiacque tra l’Occidente democratico egemonizzato dagli Stati Uniti e l’Oriente totalitario dominato dall’Unione Sovietica. Altro che il gruppo di Visegrad di oggi e di Orban. All’epoca il “dominus” si chiamava Stalin e dopo aver vinto, assieme alle potenze occidentali, la guerra calda le combatteva in quella fredda. L’Italia era nel mezzo, terra di frontiera allora del mondo, oggi di un’Europa anch’essa bisognosa di grandi scelte strategiche e definitive di ciò che vorrà essere e se vorrà essere alla fine di questa lunga notte del virus.
Si sa come andò allora. Gli italiani si schierarono in massa per la Dc di Alcide De Gasperi che battè in maniera netta il fronte popolare di Palmiro Togliatti e del socialista Pietro Nenni, in realtà egemonizzato dai comunisti filo sovietici per amore, qualcuno, e forza altri. Quel giorno il nostro paese svoltò. Comincio, nella libertà, la ricostruzione materiale e spirituale che ci ha portato con il tempo ad affermarsi per quello che siamo stati, siamo ancora e torneremo a essere: una nazione di grandi talenti e potenzialità. Per qualcuno ci sono voluti decenni, ma ormai il giudizio storico è pressoché unanime visti gli accadimenti e la dissoluzione dell’impero sovietico. Quel 18 aprile gli italiani fecero la scelta giusta, in un momento drammatico come quello di oggi. Le differenze si vedono: all’epoca la politica, di qualunque parte, era forte, rigogliosa e autorevole. Rappresentata da personaggi che, pur lavorando sotto la loro bandiera, rispettavano le regole del gioco: anche i comunisti rivoluzionari, tenuti a freno dalla personalità e dal carisma di Palmiro Togliatti così come i “bianchi” più reazionari controllati dall’aura di statista di Alcide De Gasperi si dovettero adeguare. Non va dimenticato che proprio grazie a De Gasperi, politico complesso che sfuggiva agli stereotipi e seppe pure tener testa al Papa quando riteneva di essere nel giusto, furono poste le basi per la nascita di quella che diventerà prima la Comunità economica poi l’Unione europea. Per questo, più che mai, il 18 aprile andrebbe celebrato anche oggi, un’epoca in cui la Dc e il Pci sono ormai lontani ricordi. Anche per far presente a qualcuno, dentro e fuori i nostri confini, quanto è stata importante l’Italia per l’Europa. Perché se in quel 18 aprile le cose fossero andate diversamente, con ogni probabilità anche gli assetti internazionali di oggi, non sarebbero gli stessi. Ecco perché non è stato bello vedere quanto accaduto l’altro giorno al Parlamento europeo nella discussione sulle misure da mettere in atto per fronteggiare la crisi economica planetaria determinata dal coronavirus e porre le basi per quella che deve essere una nuova “ricostruzione”, seconda solo a quella post bellica. I nostri partiti sono andati in ordine sparso, scegliendo ancora una volta di far prevalere un meschino tatticismo elettoralistico o strumentale a un cambio di governo nazionale, a una strategia che ricordasse una volta per tutte cos’è stata e cos’è ancora l’Italia per l’Europa, con buona pace di tutti gli olandesi o dei tedeschi che hanno visioni diverse.
Magari ripensando un po’ alla storia non solo politica del nostro paese e ai suoi grandi snodi come fu quel 18 aprile del 1948, si riuscirebbe ad aprire la mente a visioni finalizzate al benessere del nostro popolo e non dei politicanti che indegnamente pretendono di rappresentarlo. Da quel giorno fatale sono passati 72 anni. Purtroppo sembrano molti di più.
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