Cronaca / Tirano e Alta valle
Martedì 10 Dicembre 2013
I minatori di Frontale
sono quasi leggenda
Sono una trentina quelli che proseguono l’attività degli avi e che hanno festeggiato Santa Barbara - Tutti concordi: «Una volta entrato in galleria non puoi più uscire, non puoi più rinunciare a lavorarci»
Questa volta, in occasione della patrona Santa Barbara, per i minatori di Frontale l’esplosione è solamente di gioia. Èuna vocazione quella dei frontalaschi per la galleria. L’hanno nel dna, era il mestiere dei nonni e loro, orgogliosamente, lo fanno anche oggi, nel terzo millennio. Sono una trentina quelli attualmente impegnati nei vari cantieri.
I loro occhi non tradiscono le emozioni, bisogna essere freddi quando maneggi l’esplosivo, quando la montagna ti potrebbe crollare addosso se cincischi. I minatori di Frontale dopo i sacrifici ora hanno conosciuto la celebrità grazie a Davide Van De Sfroos che li ha fatti diventare famosi in tutta Italia con quell’album, “Pica”, che è una sorta di inno di questa gente umile, sgobbona, generosa che ha fatto del pericolo il suo mestiere.
«Ma ora si lavora in assoluta sicurezza nei cantieri - precisa Fabio Ricetti, che è considerato un minatore di assoluta eccellenza -. Non sono più le condizioni di lavoro dei nostri nonni che in galleria hanno perso la salute o addirittura la vita. Abbiamo imparato a tutelarci: se c’è troppa polvere non entriamo in galleria, se c’è troppo rumore restiamo fuori».
«La mia è una famiglia di minatori - spiega Fabio -. Lo era mio e nonno e lo sono stati tutti i suoi figli e lo sono diventato anch’io. Avevo scelto di fare il cuoco, ma poi un giorno sono entrato in galleria e mio padre me l’ha detto: non ne uscirai più. Non ha sbagliato: si diventa dipendenti dei tanti soldi che si guadagnano». Paghe da capogiro, anche sei i minatori affermano che non si guadagna più come ai tempi d’oro «quando finivi un cantiere e andavi in altro. Mediamente una galleria è lunga 2 chilometri e noi ci lavoriamo per due anni. Siamo in squadre di 4-5 persone. Ora ci sono solo due aziende che fanno questi tipi di lavori», aggiunge Ricetti. Un’unità di team a prova di qualsiasi problema: «È vero, se uno aveva dei problemi con i capi, tutta la squadra cambiava cantiere per solidarietà».
La galleria è il loro Eldorado, una sorta di calamita. Germano Cossi, classe ’49 è appena andato in pensione. Ha girato il mondo dal Sudafrica all’Ecuador negli anni Settanta: « Era ancora il Sudafrica della divisione fra bianchi e neri quello che ho vissuto io. Le persone di colore potevano solo lavorare. Io ero caposquadra . Non erano abituati al quel lavoro e c’era da stare molto attenti perché erano un po’ sprovveduti e c’era il rischio si facessero male». Un lavoro pesante, « si facevano anche 11 ore al giorno - ricorda Germano - ma lo rifarei ». Le nuove vocazioni non mancano come quella di Stefano Peraldini del ‘89 che è l’allievo di Fabio Ricetti: «Sono tre anni che lavoro alla cava di Sondalo con Fabio. Lui ha molta esperienza e ogni giorno mi dà i consigli giusti».
Non seguirà le orme paterne, invece, Stefano, il figlio di Fabio Ricetti: «Sono orgoglioso del lavoro di mio padre, ma io non voglio un lavoro così pericoloso, sono uno studente di agraria». Continua a essere un giramondo invece Moreno Cossi: «Sono stato in Angola, Nepal. Etiopia. Era impossibile rimanere insensibili davanti a tanta povertà».
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